Windows 10, lanciato a metà del 2015 e pubblicizzato da Microsoft come l’ultima iterazione di Windows, doveva servire a consolidare le fondamenta software del parco macchine installato e portare progressivamente gli utenti a usare la medesima versione – o quantomeno generazione – del sistema operativo. Per archiviare definitivamente Windows XP, Windows 7 e Windows 8 – ormai non più supportati ma ancora in uso – Microsoft ha allargato il più possibile le maglie di compatibilità e ha sacrificato alcune libertà tradizionalmente concesse ai propri utenti. Dopo quasi sei anni di servizio, gli interventi richiesti per adeguare Windows 10 alla nuova generazione di hardware e software dovevano essere molto di più di una “rinfrescata”.
Windows 11 porta cambiamenti significativi e segna un cambio di rotta importante: i requisiti hardware sono infatti diversi e molto più restrittivi di quelli passati. Microsoft ha eliminato definitivamente la versione a 32 bit visto che la maggior parte dei processori moderni – sono passati 18 anni dal primo Athlon 64 – usano architetture a 64 bit; per quanto riguarda il software anche qui non ci sono problemi perché Windows 11 conserva la capacità di eseguire in emulazione software a 32 bit. Microsoft ha lavorato in modo che il software compatibile con Windows 10 funzioni in modo analogo anche sul nuovo sistema operativo, visto che Windows 11 condivide gran parte dell’architettura con Windows 10.
Dietro all’interfaccia utente più moderna sono stati rinnovati componenti essenziali che da un lato conservano la compatibilità con l’hardware esistente mentre dall’altro introducono elementi necessari per sfruttare l’hardware di nuova generazione. La nuova architettura Intel Alder Lake-S di tipo ibrido – la prima in cambio desktop – è un esempio chiarificatore: lo scheduler di Windows 10 non è in grado di distinguere in modo corretto tra diversi tipi di core x86 presenti nella stessa CPU; questo comporta
che Windows 10 può non riuscire a sfruttare il processore in modo efficiente o, peggio, può causare comportamenti anomali delle applicazioni non opportunamente aggiornate.
Tra le novità più importanti troviamo la necessità che il sistema sia dotato di BIOS UEFI e che supporti la tecnologia TPM 2.0. In questo caso i problemi dovrebbero riguardare solo i sistemi costruiti prima dell’introduzione di Windows 10. La maggior parte delle macchine realizzate a partire dal 2016 è dotata di BIOS UEFI (Unified Extensible Firmware Interface) ed è compatibile con la versione 2.0 della tecnologia TPM (Trusted Platform Module). Il BIOS UEFI permette di eseguire operazioni prima che venga caricato il sistema operativo, mentre la richiesta di attivare il TPM 2.0 serve a migliorare le caratteristiche di sicurezza del sistema. Insieme a queste richieste figura anche quella della corretta impostazione del Secure Boot (avvio protetto). Questo è uno standard di sicurezza sviluppato per garantire che un dispositivo venga avviato usando solo software considerato attendibile dal produttore OEM (Original Equipment Manufacturer). All’avvio del PC, il firmware controlla la firma di ogni componente del software di avvio, inclusi i driver del firmware UEFI, le applicazioni EFI e il sistema operativo. Se le firme sono valide, il computer può essere avviato e il firmware concede il controllo al sistema operativo.
Premesse fondamentali
Stando a quanto dichiarato da Microsoft, non dovrebbero esserci problemi di compatibilità o un calo di prestazioni aggiornando il proprio sistema da Windows 10 a Windows 11. Ricordiamo che la maggioranza degli utenti non deve o dovrà spendere nulla: Windows 11 è un aggiornamento gratuito per tutti gli utenti di Windows 10, a patto che l’hardware sia compatibile con il nuovo sistema operativo. Alla luce di tutto ciò abbiamo eseguito una serie di prove per verificare se a parità di hardware esistono differenze di prestazioni utilizzando il più recente sistema operativo Windows 11 o il collaudato Windows 10.
Cosa ci dicono i test
Come anticipato, il soggetto più interessante della prova è stato il recentissimo Intel Core i9-12900K della serie Alder Lake-S. L’architettura ibrida di questo processore integra un Thread Director che permette di profilare il carico di lavoro in modo che lo scheduler di Windows 11 possa indirizzare l’esecuzione dei thread sul core più adeguato (alte prestazioni o alta efficienza). Ciò non significa che sia obbligatorio utilizzare Windows 11, ma che con altri sistemi operativi l’architettura potrebbe non essere
sfruttata in modo ottimale. In alcuni casi, addirittura, il software potrebbe comportarsi in modi inattesi come è avvenuto con alcuni videogiochi dotati di sistemi anti-cheat. Nel corso dei test abbiamo rilevato che anche l’applicativo Handbrake ha un comportamento anomalo: di base il software sembra vedere solo gli E-Core mentre ignora i P-Core. Utilizzando il fix software di Gigabyte grazie al quale è possibile “parcheggiare” gli E-Core, Handbrake ignora gli E-Core e prosegue la transcodifica utilizzando tutti i P-Core disponibili. Avviando la transcodifica con gli E-Core già parcheggiati il software parte in modalità singolo thread su un solo P-Core. Nel caso della transcodifica in formato Matroska la cosa si è fatta ancora più complessa in quanto il software non riesce a sfruttare contemporaneamente tutti i thread gestibili dai P-Core, il tutto con un forte calo delle prestazioni. I risultati che riportiamo sono i migliori che abbiamo ottenuto. La prova sul campo è servita per capire in quali casi sia caldamente consigliato utilizzare la versione più recente di Windows.
Abbiamo eseguito altri test anche con i processori basati sull’architettura Ice Lake-S di decima generazione. Questa è un’architettura “classica” con core tutti uguali tra loro. In modo analogo abbiamo analizzato il comportamento di due processori AMD: il Ryzen 7 5800X e il Ryzen 5 5600X. Entrambi utilizzano l’architettura Zen3, ma il primo utilizza un numero di core diviso su due chiplet distinti, mentre il modello più economico ha tutti i core raggruppati in un solo chiplet. L’esperienza d’uso con questa categoria di processori e sistemi non ha presentato problemi e le uniche “difficoltà” sono state quelle legate alla corretta configurazione del BIOS della scheda madre. Nello specifico abbiamo dovuto modificare le impostazioni solo sulla piattaforma Intel Z490 – la più “vecchia” della prova – per i processori Intel di decima generazione. I grafici hanno dei vari benchmark ci hanno mostrato che una volta configurata la piattaforma in modo corretto non esistono differenze evidenti tra le prestazioni fatte segnare in ambiente Windows 10 e Windows 11. Le piccole differenze sono da attribuire all’errore del test o all’effetto dell’impostazione VBS di cui trovate una spiegazione dedicata di seguito.
Effetto VBS
Uno dei requisiti richiesti per utilizzare Windows 11 è che il processore supporti la tecnologia VBS (Virtualization Based Security). Questa permette di sfruttare la virtualizzazione hardware per creare un’area di memoria sicura che risulta isolata dal normale sistema operativo. Un esempio di applicazione è definita HVCI (Hypervisor-Enforced Code Integrity) e consiste nel proteggere l’integrità del codice in memoria controllando tutti i driver e file binari prima dell’avvio e impedendo il caricamento di quelli non firmati, ovvero di quelli la cui origine non è verificata e considerata sicura. L’opzione VBS è attiva di default in Windows 11 mentre in Windows 10 è presenta ma deve essere attivata dall’utente. Questa differenza di impostazioni ha un leggero impatto – negativo – sulle prestazioni del sistema, ma vantaggi in termini di sicurezza e stabilità del sistema.
Conclusione finale
Alla luce dei risultati raccolti possiamo constatare l’ottimo lavoro svolto da Microsoft che con Windows 11 è riuscita a introdurre maggiore sicurezza e un’apertura al supporto di una nuova generazione di hardware senza compromettere la compatibilità e le prestazioni dei sistemi già in uso.
Chi utilizza Windows 10 può quindi pianificare un aggiornamento a Windows 11 in piena tranquillità. Chi invece si appresta ad acquistare una piattaforma Intel di ultima generazione o nei prossimi mesi anche le future piattaforme con i nuovi processori AMD dovrebbe partire subito con Windows 11. Questa scelta permette infatti di sfruttare l’hardware al massimo delle sue potenzialità. Se però intendete aspettare sappiate che alcuni software potrebbero darvi qualche grattacapo: in alcuni casi i core delle architetture ibride sono visti come appartenenti a sistemi differenti e l’applicazione potrebbe avere comportamenti anomali. Alcuni videogiochi non funzionano mentre applicazioni di produttività potrebbero avere prestazioni molto inferiori a quanto atteso. Nelle settimane servite per raccogliere i risultati dei sistemi in prova abbiamo assistito a un rapido aggiornamento di molte applicazioni e nella maggior parte dei casi le modifiche hanno risolto proprio il comportamento anomalo dei software con i nuovi processori Intel.