Martedì 4 ottobre un tribunale russo ha multato TikTok, società di proprietà di ByteDance, per 3 milioni di RUB (circa 51.500 euro) a causa del rifiuto della piattaforma di social media di cancellare contenuti che, secondo le autorità russe, violano le leggi contro la diffusione della “propaganda LGBT”.
Le agenzie di stampa hanno riferito che la causa contro TikTok si basa sull’accusa che la società stia “promuovendo valori non tradizionali, LGBT, femminismo e una rappresentazione distorta dei valori sessuali tradizionali” sulla sua piattaforma.
La Russia sta valutando la possibilità di ampliare la legge sulla “propaganda gay”, approvata nel 2013, che vieta a qualsiasi persona o entità di promuovere relazioni omosessuali ai bambini. I legislatori hanno sostenuto che la legge dovrebbe essere estesa anche agli adulti e che le multe per chi espone i minori alla “propaganda LGBT” dovrebbero essere aumentate.
TikTok, giudicata colpevole di un reato amministrativo per non aver cancellato i contenuti vietati, non ha risposto immediatamente a una richiesta di commento. Interfax ha riferito che un rappresentante di TikTok presente in aula ha insistito per chiudere il procedimento, senza fornire ulteriori dettagli.
La multa segna l’ultimo passo nella lunga disputa di Mosca con le Big Tech, con multe sui contenuti, richieste di archiviazione dei dati e alcuni divieti veri e propri che limitano l’influenza e la portata delle aziende occidentali nel Paese.
Le autorità russe affermano di difendere la moralità di fronte a quelli che ritengono valori liberali non russi promossi dall’Occidente, ma gli attivisti per i diritti umani sostengono che la legge è stata applicata in modo ampio per intimidire la comunità LGBT russa.
Ad agosto, un tribunale russo ha multato il servizio di streaming Twitch per 2 milioni di RUB, poiché ha ospitato un breve video che si sostiene contenga informazioni “false” su presunti crimini di guerra nella città Ucraina di Bucha. In precedenza, la Russia ha ripetutamente minacciato di multare anche altre piattaforme – tra cui Google, Twitter e Wikipedia – accusate di ospitare contenuti “falsi” relativi alla sua campagna militare in Ucraina.