Come nel caso di tanti altri settori anche in quello dei videogiochi esistono delle mode che, di tanto in tanto, creano dei terremoti nei confronti di equilibri ben assestati, portando talvolta a delle vere e proprie rivoluzioni. Si può pensare agli anni ’90, quando il genere platform era il dominatore incontrastato della scena videoludica; oppure agli anni a cavallo del 2000, quando gli strategici e tattici in tempo reale rappresentavano lo stato dell’arte dell’industria salvo poi tramontare, ricominciando solo negli ultimi anni a rialzare con convinzione la testa. In questi ricorrenti parabole di ascese e discese, gli ultimi anni hanno visto protagonista un genere che sicuramente rientra in queste dinamiche: quello dei battle royale. Non è di certo esagerato considerarlo il più importante dei recenti anni del videogaming, ma nell’immediato futuro sarà ancora così? Oppure possono già intravedersi i primi segni di stanchezza, che rendono legittimo chiedersi se si sia entrati nella fase calante della parabola?
È inevitabile, per meglio comprenderne il percorso, inquadrare al meglio le origini del battle royale e, quindi, la sua ascesa. Se i primi passi convinti, fuori dal mondo videoludico, possono essere visti in opere come il manga Gantz oppure la trilogia letteraria The Hunger Games, è innegabile che nel mondo dei videogiochi gli schemi alla base del genere battle royale si debbano soprattutto a PlayerUnknown Battlegrounds, nato come mod di DayZ nel 2013 e lanciato come gioco autonomo nel 2017. Il gioco, e più in generale il suo genere, ha avuto un impatto sorprendente sul mondo videoludico, segnalandosi presto come un vero e proprio fenomeno: è facile comprendere come il successo abbia potuto essere così enorme, considerando i punti di contatto con numerose altre competizioni come per esempio quelle a tema pokeristico, con le quali le similitudini sono davvero sorprendenti, senza comunque rinunciare alle componenti più apprezzate degli shooter in prima e terza persona. Gli anni seguenti hanno visto il lancio di sempre più titoli improntati alle stesse meccaniche e protagonisti tanto in tornei internazionali di esport quanto in collaborazioni con marchi hardware, come Apex Legends e Fortnite, ma soprattutto l’inclusione di una modalità battle royale in tantissimi altri giochi anche di primissimo piano: Call of Duty, Battlefield, Forza Horizon, addirittura classici come Tetris. Si tratta di esperimenti che hanno portato diversissimi titoli a beneficiare dello stato di grazia del genere, allargando enormemente la platea di giocatori che hanno potuto quindi averci a che fare.
Il genere, insomma, ancora oggi gode di ottima salute. Ma, a ben vedere, si possono notare alcuni aspetti che meritano sicuramente un’analisi attenta. È il caso di Warzone, testa di ponte del franchise Call of Duty nel mondo dei battle royale. Il gioco fa parte di un progetto di ampio respiro della serie, lanciato nel 2019 e recentemente ristrutturato in maniera pesante. Tuttavia, negli ultimi mesi sta soffrendo la presenza di numerosi problemi di bilanciamento dati delle costanti nuove aggiunte, oltre a numerosi bug; la costante presenza di giocatori disonesti, inoltre, contribuisce a esasperare le insofferenze dei restanti giocatori che, di conseguenza, decidono di smettere di giocarci. Si può poi fare l’esempio della modalità Firestorm, la componente battle royale di Battlefield V, uscito nel 2018: dopo un approccio iniziale cautamente ottimistico, la community degli appassionati l’ha velocemente abbandonata per i suoi numerosi problemi, arrivando presto a vedere nella modalità la principale causa dell’insuccesso del titolo, il cui supporto è stato fortemente influenzato proprio dalle esigenze legate a quest’ultima. Sotto il punto di vista dei montepremi dei tornei, poi, si prevede un netto taglio a quanto messo in palio per la vittoria nelle competizioni, anche perché già nel 2019 si notavano i primi lievi cali delle visualizzazioni sulle piattaforme di streaming come Twitch o YouTube; si può ulteriormente considerare come alcuni creators che si erano segnalati proprio per le competizioni su battle royale abbiano deciso di allontanarsene, alimentando la sensazione di un cambiamento.
Tutte le ultime considerazioni, in effetti, puntano a un’unica conclusione: l’ormai superato picco della moda del battle royale. È sicuramente prematuro concludere che il genere sia destinato a un periodo di oblio come accaduto nel caso di altri cicli videoludici, anche perché i temi centrali continuano a riscuotere successi in opere differenti come, per esempio, la recente serie tv Squid Game; tuttavia, è innegabile che i segnali di cambiamento siano ben evidenti, e l’unico dubbio che rimane è se il mondo videoludico stia già irreversibilmente girando pagina o ci sia ancora spazio per gli ultimi ritorni di fiamma di una moda che, comunque, ha lasciato un’impronta indelebile.