Entro fine 2025, Apple e Google dovranno consentire app store alternativi e pagamenti in-app di terze parti sui loro dispositivi in Giappone, secondo una nuova legge anti-monopolio.

Apple e Google dovranno adeguarsi alla nuova legge approvata in Giappone, che entrerà in vigore a partire dalla fine del 2025. In primis la normativa prevede che si debba consentire la presenza di app store di terze parti sui dispositivi nel Paese. Le aziende avranno 18 mesi di tempo per adattarsi alle nuove regole locali.

La nuova legislazione si chiama “Legge sulla promozione della concorrenza per il software specifico per smartphone” e presenta diversi punti simili al Digital Markets Act (DMA) dell’Unione Europea. Il DMA non ha rappresentato una transizione semplice per alcune big tech, soprattutto per Apple che, al di là delle polemiche, ha dovuto fare delle scelte e molti cambiamenti per potersi adeguare.

Un altro dettaglio importante del nuovo disegno di legge è che obbliga Apple e Google a consentire agli sviluppatori di poter offrire servizi di fatturazione di terze parti per le loro app e rendere più semplice per gli utenti modificare le impostazioni predefinite e la scelta del browser web. Inoltre, le aziende non possono favorire i loro servizi nei risultati di ricerca.

Questa legge vede una similitudine col DMA anche per il fatto che i sistemi operativi delle aziende devono facilitare lo scambio di strumenti standard sui dispositivi. Tuttavia, la legge giapponese non prevede criteri definiti per un’azienda che agisce come un oligopolio. Finora solo Apple e Google rientrano in questa categoria. In ogni caso, le aziende che violano la legge saranno multate fino al 20% delle entrate del servizio in questione. Questo vuol dire che se Google favorisce uno dei suoi servizi nelle ricerche, la multa sarà una percentuale delle entrate dell’app o del servizio. In caso di recidiva, la multa sale al 30%.

Vale la pena ricordare che nonostante gli sforzi Apple resta sotto la lente di ingrandimento in UE poiché alcune delle azioni intraprese dalla società per adeguarsi alle norme del DMA non convincono pienamente i legislatori. Allo stesso modo Google e Meta sono sotto osservazione per possibili violazioni del Digital Markets Act.

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Carolina Napolano
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