Per la parità di genere ai vertici aziendali la strada è ancora lunga e le imprese italiane non spiccano certo per merito. A dire il vero, qualche progresso c’è stato, e sempre più donne (28%) detengono posizioni di leadership, con un aumento di 4 punti percentuali rispetto al 2019. È il dato che emerge dall’ultimo International Business Report (IBR) – Women in Business 2020 di Grant Thornton International, indagine effettuata a livello globale che raccoglie le risposte di circa 10.000 leader aziendali in 32 Paesi. Nonostante questo, tuttavia, la famosa quota rosa rimane ancora limitata.

Eppure, l’importanza della diversità è innegabile. Di norma, le realtà che godono di un team dirigenziale più variegato non solo riescono a scongiurare il rischio di diventare una camera d’eco delle stesse opinioni e idee, ma ne guadagnano anche sul piano finanziario.

La domanda sorge spontanea: perché quindi c’è ancora così tanta disparità? Probabilmente non per mancanza di volontà. La diversità, infatti, è al centro dell’attenzione di molte aziende e sono sempre di più quelle che nominano un Diversity Officer e stabiliscono delle cosiddette diversity quota. Ma sembra che il problema sia proprio questo: troppe aziende si limitano a discutere su come affrontare meglio le questioni di diversità e che misure mettere in atto, senza però intervenire nel concreto. Per non parlare di quelle che, pur agendo, finiscono per riporre male le proprie intenzioni, causando più danni che benefici.

Sfatare i miti della diversità

Quando le aziende cercano di lanciare nuove iniziative o di promuovere la diversità e l’inclusione, l’idea di riservare un trattamento speciale a una persona può sottolinearne la diversità e rafforzare (seppure inconsciamente) la percezione che, in qualche modo, quella persona non sia uguale agli altri. Si finisce così per avere un effetto negativo e sortire il risultato opposto a quello auspicato. Le donne potrebbero pensare di aver ricevuto una determinata nomina esecutiva solo per soddisfare la necessità di una presenza femminile in quell’ufficio e non per il valore aggiunto che apportano; un semplice segno di spunta, insomma, su un’importante casella aziendale.

Quando si assume un Chief Diversity Officer, ad esempio, la responsabilità di creare un’organizzazione capace di valorizzare la vera diversità non deve ricadere esclusivamente su quel singolo individuo. Bisognerebbe piuttosto agire come una joint venture, in cui C-Level e management dovrebbero essere altrettanto motivati e coinvolti per fare della diversità una priorità e innescare un cambiamento reale.

Contrariamente a quanto spesso si crede, la soluzione ai problemi non arriva da fuori. Bisogna affrontare queste difficoltà internamente, prima di volgere lo sguardo all’esterno per cercare di migliorare. Allora quale dovrebbe essere l’approccio delle organizzazioni alla diversità? 

Di seguito, i suggerimenti di Cornerstone OnDemand per affrontare il problema.

1. Fare un esame di coscienza

Innanzitutto, le aziende dovrebbero riesaminare i processi interni e stabilire in tutta sincerità se favoriscono davvero una cultura di equità e di uguaglianza. Ad esempio, come vengono concessi promozioni o bonus? Dipendono semplicemente dall’opinione soggettiva di un manager o per ciascun livello aziendale vengono chiaramente definiti degli obiettivi da raggiungere? Se così non fosse, questo è un buon punto di partenza. Stabilendo delle “regole” uguali per tutti si avrà la certezza che ogni collaboratore non solo verrà trattato equamente, ma disporrà anche degli strumenti necessari per esercitare il pieno controllo sul proprio sviluppo personale e avanzamento di carriera.

2. Attenzione a come ci si rivolge ai candidati

Quando invece si prospettano nuove assunzioni, è bene rivedere in che modo vengono presentate e offerte le mansioni in questione. In particolare, per le posizioni dirigenziali si fa affidamento su canali rivolti a un solo specifico gruppo demografico o si sfrutta il passaparola tra C-Level e management? In quest’ultimo caso, il rischio è di ritrovarsi con la brutta copia di se stessi. È importante analizzare anche la descrizione della posizione: a volte, senza rendersene conto, il linguaggio utilizzato potrebbe scoraggiare ottimi candidati. L’espressione “il candidato perfetto”, ad esempio, va immediatamente eliminata dal vocabolario.

3. Cambiare mentalità

La cosa più importante per creare una vera cultura della diversità è cambiare modo di pensare. Non basta vantarsi di essere un’azienda aperta: bisogna dimostrarlo. Bisogna invitare i dipendenti a esprimere le proprie opinioni e a condividere i propri pensieri, a porre senza timori anche domande difficili o delicate o ancora indagare sul perché sono restii a determinati cambiamenti. All’inizio potrebbero essere titubanti, ma esistono molti modi per garantire l’anonimato in queste discussioni, non da ultimo con l’ausilio di piattaforme o app esterne. L’importante è ascoltare e, quindi, rispondere.

Quando si tratta di diversità e inclusione, le aziende hanno ancora tanta strada da fare, anche se i primi passi stanno andando nella direzione giusta. Per promuovere e attuare un vero cambiamento è necessario seguire un percorso chiaro, che trasformi il circolo finora vizioso in un nuovo circolo virtuoso.

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