L’Agenzia delle Entrate contesta a Google un miliardo di euro di imposte non pagate in Italia, accusando il colosso tech di eludere il fisco attraverso una stabile organizzazione nel Paese. La vicenda ricalca quella di Netflix, che nel 2022 ha dovuto pagare 56 milioni per lo stesso motivo.

Stiamo assistendo a un nuovo capitolo nella storia di Google con il fisco italiano, una ripetizione di eventi simili accaduti in passato. Circa sette anni fa, Google aveva già saldato un debito con l’Agenzia delle Entrate italiana, pagando oltre 300 milioni di euro, un episodio simile a quello che ha coinvolto Netflix nel 2022 con un accordo da 56 milioni di euro. Ora, secondo recenti indagini guidate dal Nucleo economico-finanziario della Guardia di Finanza di Milano e riportate da Il Sole 24 Ore, Google potrebbe affrontare un’altra pesante sanzione per una presunta evasione fiscale che ammonterebbe a circa un miliardo di euro.

Questo schema di minimizzazione fiscale è comune tra i giganti della tecnologia, che cercano di ottimizzare i profitti riducendo il più possibile i versamenti fiscali nei Paesi in cui operano. La contestazione attuale si focalizza sulla definizione di “stabile organizzazione”, che richiederebbe a Google di pagare più tasse in Italia. Si tratta di una situazione analoga a quella affrontata da Netflix, che due anni fa venne sanzionata per non avere dichiarato una presenza fisica significativa, nonostante l’infrastruttura di server necessaria a fornire i suoi servizi.

La filiale europea di Google, con sede in Irlanda, è ritenuta avere una stabile organizzazione in Italia, e secondo le autorità fiscali italiane, ci sarebbero circa un miliardo di euro di tasse non pagate. Il caso di Netflix ha evidenziato un cambiamento storico nel modo in cui vengono tassate le operazioni economiche nell’era digitale, con un riconoscimento crescente della materialità delle infrastrutture tecnologiche come server, cavi e computer, essenziali per il funzionamento dei servizi digitali in Italia.

Il Sole 24 Ore illustra che il principio alla base della nuova sfida fiscale a Google è lo stesso: se la compagnia possiede in Italia infrastrutture attraverso le quali offre servizi, allora esiste una stabile organizzazione materiale che implica delle responsabilità fiscali non ancora assolte. Questa linea di pensiero riflette un’interpretazione moderna delle leggi fiscali, adattata a un mondo sempre più digitale e interconnesso.

La questione della “stabile organizzazione” è diventata essenziale nel panorama fiscale internazionale, specialmente con l’espansione dei colossi tech che spesso operano a livello globale ma cercano di minimizzare la loro impronta fiscale. Le autorità italiane stanno cercando di stabilire un precedente che potrebbe influenzare il modo in cui le imposte vengono raccolte dalle multinazionali in tutto il mondo.

La reazione di Google a queste accuse sarà fondamentale per capire come evolverà la situazione. Se l’azienda decidesse di negoziare un accordo, potrebbe seguire la scia di precedenti accordi, come quello di sette anni fa. In ogni caso, se Google scegliesse di contestare le accuse, potremmo assistere a una lunga battaglia legale che metterà alla prova le interpretazioni moderne delle leggi fiscali.

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Carolina Napolano
La tecnologia, roba da donne: ecco la blogger per promuovere il lato rosa della tecnologia.

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